La motonave Wilhelm Gustlof lascia Gotenhafen, località vicino a Danzica, (ove
era dislocata) il 30 genn. 1945, verso mezzogiorno, con un carico di 10.500 passeggeri, tra cui 900 allievi ufficiali
sommergibilisti, 373 ausiliarie e numerosi militari gravemente feriti. A bordo,
sotto falso nome, v’era anche un funzionario della gestapo, in precedenza
addetto agli interrogatori degli ebrei altolocati. Cioè di coloro che ricoprendo funzioni elevate erano a conoscenza
di personaggi qualificati, oppositori del nazismo, o di segreti finanziari di
rilevante entità, di cui il Terzo Reich intendeva impossessarsi. Gli
interrogatori si svolgevano senza che fossero inflitte torture o percosse. Ma
esclusivamente utilizzando sottili pressioni psicologiche. Alloggiando l’inquisito
in una stanza singola dell’Hotel Metropol di Vienna (che era anche sede della Gestapo)
(delle cui rovine si rinviene traccia visiva anche nel film Il terzo uomo
di Carol Reed).Con
un trattamento all’apparenza privilegiata, trattandosi di un albergo di lusso. La
stanza in cui si veniva alloggiati era con finestra senza vedute esterne. Era
singola e ben riscaldata. Con un letto, una sedia, una finestra con le
inferriate. Senza libri né giornali, matite o penne. L’orologio da polso era
stato sequestrato. Le sigarette vietate. La guardia che portava il cibo non
poteva dire una parola o rispondere alle domande. Gli interrogatori si
susseguivano con una periodicità sempre diversa. Non si svolgevano mai nella
stessa stanza. A volte si attendeva anche alcune ore prima di essere
interrogati. Ed allorchè l’interrogatorio aveva inizio, si aveva la sensazione
che poteva essere anche l’ultimo. Si era quindi collocati in una dimensione che
era sostanzialmente il vuoto, il nulla totale, privo di spazio e di tempo.
Negli interrogatori venivano poste domande apparentemente inutili, alcune a
trabocchetto, altre solo di copertura, per non far prefigurare ciò di cui la Gestapo
già era conoscenza e ciò che voleva far dire. Ed al ritorno nella stanza ove si
soggiornava era come se l’interrogatorio proseguisse. Perché notte e giorno si
rifletteva su ciò che in base alle domande poste ci si prefigurava quelle che
potevano essere le domande future. E tali pensieri, tali quesiti si affollavano
nella mente dell’inquisito, dandogli la sensazione di un soffocamento senza
fine, senza scelta se non quella di parlare, dire tutto. Per far cessare lo
strazio. Tale dimensione di confronto psicologico con l’inquisito era congeniale alle capacità
ed alla propensione caratteriale del funzionario della Gestapo, in
fuga sotto falso nome sulla motonave Wilhelm Gustlof. Che negli interrogatori dava (se
questo si può dire) il meglio di sé. Da tempo si era dato al gioco degli
scacchi. Riuscendo a divenire campione nazionale di tale gioco. Che risultava
congeniale alle sue eccezionali capacità intellettive di calcolo, di previsione e di
memoria che sono essenziali in un gioco, come quello degli scacchi, che non
affida nulla alla fortuna od al caso, poiché privilegia esclusivamente le doti
personali e la sensibilità intellettiva dei giocatori. Il suo attuale antagonista,
in tale gioco, era uno strano indiduo magro, pallidissimo di nome Adolf. Di cui
si ignorava il nome. E la cabina che costituiva il suo alloggio. E la sua
precedente attività. Ciò che sorprendeva era la rapidità con la quale prendeva
la decisione di effettuare le sue “mosse”, dopo quelle dell’avversario. E
risultandone sempre in vantaggio, con esito finale sempre, o quasi sempre,
positivo. Notato ciò, il funzionario della Gestapo ritenne di averne scoperto il punto debole.
E ritenne di prolungare fino al massimo consentito i propri tempi di apparente
riflessione. L’espediente funzionò. Al punto che, prima della conclusione di
una partita, il suo avversario, lanciando un urlo agghiacciante, abbandonò il
tavolo precipitandosi fuori. Dando così partita vinta al suo antagonista. Di li
a poco la nave venne silurata ed affondò. Nelle acque gelide del Mar Baltico
(ove ancora si trova). Perirono in 9.000 (tra cui l’ex funzionario della
Gestapo, la cui fuga in icognito ebbe così
termine). Perironoi quasi tutti i
passeggeri. Il corpo di Adolf non venne mai ritrovato. Non si sa se attualmente
sia più tra i viventi (o lo sia mai stato).
Fu un sommergibile sovietico S13 ad affondare alle 21,16
del 30/1/1945 la nave Wilhelm Gustlof
. Questo nome era quello del capo dell’organizzazione nazista in Svizzera
ucciso nel 1936 da un ebreo. Tale nome non ha portato fortuna alla nave. La
vicenda è stata menzionata dal premio NobelGunter
Grass nel Suo libro Im Krebsgang(il
passo del gambero) ed ha trovato spazio nel film Nacht fiel
uberGotenhafen (del 1959)
(regista Frank
Wisbar).
Sull’”Angelus Novus” che accompagna il post W.Benjamin
osserva che l’angelo sembrerebbe guardare con tristezza al passato. Forse per il presente…non c’è nulla da
guardare.
Sosteneva che occorrerebbe insegnare valori comuni a
credenti e non. Ma soprattutto imparare a dubitare, ad essere scettici…E che dopo
la morte incontri di nuovo tutti..D’accordo…ma senza esagerare…Poiché tutto ciò
in cui si crede appare costantemente immerso in un oceano di incertezze e
dubbi..(Ed allora ?) Ed allora ?... arrivederci, Amica delle stelle…
Che l’amministrazione ed il burocratismo non
debbano avere costi esorbitanti rispetto alle risorse disponibili è,
evidentemente, una ovvietà (oltre ad essere una comune regola di buonsenso). E
volerlo ignorare per percorrere complicate e confuse alchimie è solo un modo
per proporre un più o meno convinto intrattenimento
pubblico. Intrattenimento,analogamente
a quello che Domenico Cimarosa, in ben altra
crisi, ebbe a confezionare con il Suo “Matrimonio segreto”, esclusivamente per distrarre
il preoccupato imperatore Leopoldo II dagli orrori che si erano abbattuti
sull’Europa (le guerre che imperversavano tra i principali Paesi europei, l’imprigionamento
e la condanna a morte di Luigi XVI, la ghigliottina…). L’opera (messa
attualmente in scena nell’ambito del Festival dei due mondi a Spoleto) ebbe, a suo
tempo, un sensibile successo. Anch’essa venne da sempre, considerata solo un’opera
di estemporaneo intrattenimento…e
nient’altro…
L’illuminato Papa Paolo III dovette aver dato – per così dire – a Michelangelo carta
bianca, consentendogli di raffigurare, nella Cappella Sistina, un Giudizio Universale,
che, trasgressivamente (ed in antitesi con la misericordiosa dottrinalistica
cattolica dell’epoca) potrebbe essere interpretato più che un giudizio, una preventiva condanna generalizzata nei
confronti dell’intera umanità, che vi appare (nella raffigurazione
Michelangiolesca)più un ammasso di
nerboruti e non pentiti colpevoli che una moltitudine di viventi in riverente attesa
del perdono per i piccoli, grandi errori commessi. Anche la Madonna,
accovacciata accanto ad un rabbioso e minaccioso Figlio, sembra temere qualcosa. Ma per quale colpa ? (Forse la
colpa di essere nata donna ?) .
(Di tutto ciò vi è una sia pur indiretta riprova
allorchè, dopo la morte di Michelangelo, si tentò, vanamente, difar sostituire l’intero affresco).
(secondo Woody Allen : “Su Carla Bruni nel mio nuovo film hanno
scritto un mucchio di falsità. Mi chiedo se lo fanno anche sull’Afganistan
“).
Su La Stampa (del 24/6/13, pag 1) qualcuno si è
accorto che “dal calcio” viene “un segnale sconfortante”. Cioè che “la piccola Italia” scambia “le batoste per imprese” (id est: per
successi). (Trattasi della partita Brasile/Italia, conclusasi con un 4 a 2).
Che, oltretutto, vengono giornalisticamente e televisivamente descritte “quasi con il tono dei filmati Luce sulla
guerra in Abissinia”. Come ciò avvenga, nessuno lo dice. Forse, come per il
gatto Marameo, perché si mangia poca
insalata.
Svelando alcuni dei numerosi sottintesi dell’Otello di
Shakespeare
, Toni Morrison ha riscritto (in Desdemona) l’intera vicenda, parametrando la
condizione femminile dell’epoca a quella ( nei rapporti con l’occidente) dell’intero
mondo africano. Avvalendosi della partecipazione di due splendide cantanti (la
diafana Tina Benko e quella non meno splendida e di color ebano Rokia Trahorè,
di cui è particolarmente apprezzabile l’album musicale“Beautiful Africa”).
Sansone e Dalida sopravvivono nel terzo millennio “dove
lui diviene il simbolo dell’attuale capitalismo allo sbando” (secondo il
regista catalano Carlus Padrissa che ha ripescato con furore giacobinistico l’opera
più famosa di Camille
Saint Saens :“Sanson et
Dalida”, mettendola in scena nell’aprile 2013 al teatro dell’Opera di Roma) . Secondo il Regista il mito di Sansone
sarebbe la metafora stessa di ciò che accade attualmente, ove le forbici fiscali,
i tagli alla cultura ed all’istruzione risultano essere assai di moda nell’Occidente.
E quindi, secondo il Regista, subendo il taglio della sua forza (cioè dei
capelli) l’uomo simbolo di potere Sansone sembrerebbe costretto a far venir meno il
proprio delirio di onnipotenza, la propria presunzione di poter far tutto, nell’ambito
dell’attuale capitalismo che sarebbe (secondo il Regista) allo sbando. Ma se i
capelli non fossero i suoi ma di qualcun
altro ? E se fossero solo una parrucca ? Tolta la quale Sansone riuscirebbe a sopravvivere
(alla grande) modificando la propria
identità nominale ma non il suo modo d’essere. Il capitalismo (vecchia
maniera) non è certo incapace di tali travestimenti. Alcuni dei quali
innegabilmente assai più degenerativi di ciò che esso era, in precedenza. Il
meccanismo è semplice. Basta modificare la desinenza iniziale (capital…) ed assemblare quella nuova alla parte finale (…ismo) che rimane invariata. Ed il gioco è fatto. Tutto ciò
quasi sempre avviene con il consenso, (che poi genera il generale consensodei più), di stampa e massmedia. Ma qui si
passa a qualcos’altro. Cioè dal mito di Orfeo (con la sua cetra incantatrice) alla favola
del pifferaio di
Hamelin. (Ma quest’ultima è solo un’altra favola ?)
Scrive l’Articolista di pag 1 (de La Stampa di oggi), a proposito di
immortalità, che: “ogni persona, nella
vita privata ed in quella pubblica” dovrebbe pensare di “poter lasciare un segno indelebile del suo
passaggio, forse al mondo ci sarebbero meno corruzione, meno miserie e meno
squallore”. Ma evidentemente l’Articolista non ha compiutamente espresso il
Suo pensiero. Se così non fosse, potrebbe porsi il quesito: E se anche Hitler avesse ritenuto, con le
sue opere, di lasciare “un segno indelebile del proprio passaggio ?”.
L’ingresso del Fuhrer in scena viene salutato da una salva di “Heil Hitler !”,
ai quest’ultimo risponde, con apparente imperturbabilità con un “Heil Hitler per me
!”.
Il film (“to be or not to be”) sta avendo un notevole
successo di pubblico (anche in Italia, ove, a suo tempo nel 1942, venne
melodrammaticamente re intitolato in “Vogliamo vivere !”) nella sua riedizione attuale
(realizzata da una piccola casa produttrice, alla quale si augura un meritato successo,
anche economico, per tale impresa). E non poteva esservi che successo dato che
il film porta la firma del regista E.Lubitsch e che a suo tempo venne definito un
capolavoro degno di meritare un premio Oscar. Ma a questo punto c’è da
chiedersi quando un film (o qualcos’altro che, artisticamente, sia opera dell’ingegno
umano) possa definirsi un “capolavoro”. Se evidenzia qualcosa di (veramente)
nuovo ? O per il modo in cui lo evidenzia ? O per la sua ascrivibilità a colui
che, già in precedenza, abbia realizzato altre opere, definite capolavori ? O
per il successo e la condivisione del suo pubblico (anche ammesso che ciò sia
possibile, obiettivamente, accertare) ? O per il tempo trascorso ? O per cos’altro ?
Nel caso di “to be or not to be” deve riconoscersi che il
compito di tradurre in chiave comica (specie se in salsa di comicità
anglosassone) un fenomeno così tragico ed antiumano come l’Olocausto era compito arduo se non
impossibile. E che, in qualche modo, il regista ha assolto. Pur rimanendo
irrisolto il problema fondamentale (oltre a quello delle origini “culturali” dell’Olocausto e dei suoi autori ed
interessati collaboratori) che è quello di dare una risposta al quesito: Quando un’opera
definita d’arte può considerarsi un capolavoro ? Forse perché il suo
autore, in precedenza, ne ha realizzate delle altre ?E se così fosse, conseguentemente, tutti i
Rubens, i Pinturicchio, i Canaletto, i Caravaggio che venissero portati alla
luce (disseppellendosi dal passato, eventualmente, remoto) potrebbero definirsi
capolavori ?
Lo spunto (quello de La Stampa del 19/6, pag. 1, che
assimila i dimostranti di Piazza Taksim ad alberi in quanto anch’essi immobili
e silenziosi) è un quid novi. Ma, sono esseri umani, E che come
tali andrebbero trattati. Non si tratta quindi di ecologia. Che è un’altra
cosa. Sconosciuta ai più. Perché diversamente indottrinati.
Il
postino suona sempre due volte (ma è la seconda volta quella definitiva). Trattasi di un film del
1946: The
postman always rings twice. Diretto da Tay Garnet. Tratto dall’omonimo
romanzo di James
M.Cain. La cui vicenda è ben
nota. Cora e Nick (marito e moglie) gestiscono un fast food sulla Twin Oaks. Un giorno arriva Frank, un
giramondo dai modi gentili e di apparente gran classe. Cora se ne innamora pazzamente. Fino al punto di progettare ed
attuare, assieme a lui un incidente di auto, nel quale viene ucciso Nick. Ambedue vengono prosciolti dall’accusa
di averlo voluto uccidere e, successivamente, si sposano. Ma la loro unione non
risulta esente da numerosi litigi ed insicurezze. Fino a quando, durante una
gita al mare, la loro auto va fuori strada e Cora perde la vita. ( questa potrebbe essere la “seconda volta”
di Cora. Quella decisiva). Frank, benché sia innocente, non riesce
a dimostrarlo e viene condannato alla camera a gas per aver iscenato l’incidente
ed aver voluto uccidere Cora. (
questa potrebbe essere la “seconda volta” di Frank. Quella decisiva). Ciò che conta, nel film e nel romanzo, non
sono le anomalie giuridico-causidiche che hanno portato alla assoluzione di Cora e Frank, ambedue colpevoli, nel primo incidente e, successivamente
alla condanna di Frank, innocente,
nel secondo. Ma che tutto ciò sia in effetti sfuggito al controllo umano . Che
ci sia, forse, una giustizia superiore ?
(A volte parrebbe proprio di si).
E’ un cinema d’altri tempi. Per un pubblico che amava l’orpellistica.
(Per nascondersi la realtà). Fatta di lampadari arzigogolati. Di poltrone di
velluto (rosso). Di “mascherine” in
divisa. Ciò avveniva negli anni 30. (Anni anch’essi di bancarotte, fallimenti e
depressioni). Ed i disoccupati vi trascorrevano intere giornate, colmando i
propri spazi di inattività forzata. Ma
allora i biglietti costavano poco. Ora, non più. Dove andranno adesso i disoccupati
? Poiché la crisi non è affatto terminata. (Tutt’altro). E sembra quasi che i rimedi per fuoriuscirne mirino….a qualcos’altro.
Ma Hopper
ha, artisticamente, come è suo solito, risolto il problema. Traducendo la
realtà visiva in una realtà iperrealista. E rivelandone il suo reale contenuto.
Che è il nulla. Niente altro che il nulla. Un nulla
fatto di solitudini e senza speranze. Che appare come una condanna definitiva
già pronunziata, ma non ancora resa nota. Un nulla fatto di una realtà che non concede alternative alla propria
nudità ed asetticità esteriore. E che forse è proprio lo specchio della nostra
vita. Quella di tutti i giorni.
Generalizzando un episodio di patologia urbana,
evidentemente non consueto, (quello di un anziano settantacinquenne, anno più
anno meno, che, con il bastone in mano ed il telefonino nell’altra, parlando
con la propria madre, le gridava di essere stanco di andare dietro ai suoi
capricci), facendo coro con gli altri massmedia (stampa, radio, televisione), l’Articolista
de La Stampa
(del 15/6/13, pag 1) spezza una lancia
contro gli anziani, per il calo delle nascite, la disoccupazione giovanile, gli
stranieri che dall’Italia se ne vanno. Come se alcune sopravvivenze (quelle – esemplificamente – degli anziani)
fossero scomode, anziché essere il vanto di una società ben organizzata. Nonostante
la gestione fallimentare di quest’ultima da parte dei poteri forti, che anche
attualmente cercano di ovviare al tutto, (con una ennesima fictio iuris, in evidente contrasto con la Costituzione), tentando di
reperire ricchezze dove non vi sono. (A quando il prezzo differenziato politico
delle derrate alimentari e dei consumi ?) Avanti
tutta…E se il bicchiere è mezzo vuoto, potrebbe anche apparire mezzo pieno,
con l’ausilio dei massmedia. (Quale ennesimo
illusorio conforto per i più).
Scrive Jena (cfr.il twitter su La Stampa del 12/6 pag.3) che “San Pietro
non aveva un conto in banca” ( conto che, oltretutto, vista la situazione,
potrebbe considerarsi un atto di generosità verso la banca, anziché verso se
stessi) e, secondo le Sacre Scritture “quando ha dovuto pagare le tasse,
il Signore lo ha mandato al mare a pescare un pesce e trovare la moneta dentro
al pesce per pagare “. Ma appare piuttosto difficoltoso se non impossibile anche
poter ipotizzare un consimile evento. Oltretutto, a seguito dei costanti
incrementi fiscali, occorrerebbe reperire qualche pesce,che fosse portatore di almeno due monete. Impresa peraltro
attualmente alquanto improbabile, quanto all’esito (nell’eventualità che si fuoriesca dalla metafora).
SuLa REPUBBLICA
dell’11/6 us. Si rileva la carenza di campi nudisti destinati a questi ultimi (
i nudisti). E si osserva che, sfidando i tabù dell’attuale perbenismo, i
predetti campi potrebbero essere incrementati, con conseguente aumento del PIL.
Chissà. Forse la crisi è stata
determinata anche dall’anzidetta carenza.
L’immagine che accompagna il post è ciò che decora il fondo
di un piatto di portata di Maria Lebedeva, artista d’avanguardia, dal titolo:
“Un operatore Pace all’umanità che crea
qualcosa dalle rovine del passato” (1920). E’ esposto all’Ermitage
di S.Pietroburgo. Non è un’opera d’arte. D’accordo. Ma si fa guardare con
simpatia. (Anche per il suo,
apparentemente inconsapevole, fuoriuscire dalle righe). (Che, in mancanza
d’altro, è quel che più conta).
E’ probabilmente una brava famiglia (schierata sui
consueti parametri ecologisti e cattobuonisti ) quella che scrive a Corrado Augias
(su Repubblica del
9/6 u.s) lamentando le asperità del percorso, l’assenza di segnaletica …nei
boschi ed i sentieri piuttosto mal tenuti. Intendevano, Lui e Lei, raggiungere Roma da Pietrasanta
percorrendo la Via
Franchigena in mountain bike,
ma per le ragioni predette furono costretti a rinunciarvi. (Ma come avranno fatto i pellegrini di un
tempo ad effettuare lo stesso percorso ?). Avranno fatto sorridere – a posteriori
- persino il Padreterno
( della “Trasfigurazione”
di Lorenzo Lotto
– 1512). Ma in effetti, che far più si
potea ?
E’ arrivata finalmente ! Accompagnando la crisi dello
sperpero e del superfluo (cfr. La Stampa
del 7/6, pag 1 e 13). Infatti sono calati i consumi tecnologici (cellulari,
tablet e quant’altro nonchè l’utilizzazione degli stessi) dei quali fino ad ora
non si era potuto fare a meno. Ed analogamente dicasi, già da tempo, per i
viaggi, l’abbigliamento e gli svaghi. Contemporaneamente è scoppiata la crisi. E’ sorto altresì (l’evidentemente infondato)
sospetto che la crisi sia scoppiata in una economia fondamentalmente malata di
superfluo e di sperpero. Forse è iniziato un nuovo corso (più consapevole ?).
L’immagine che accompagna il post è quella del tessuto
di una premiata fabbrica tessile russa che, evidentemente, ha voluto dimostrare di essere aderente al nuovo corso. E c’è riuscita. Ma non si
sa se la sua iniziativa abbia avuto un qualche successo (di pubblico).
Uno dei pochi italiani veri. Dotato di grande
sensibilità e di una assoluta onestà intellettuale. Del tutto schivo da
strumentalizzazioni di qualsivoglia specie che, se vi avesse aderito, avrebbero
potuto procurargli (in vita) non poche utilità. Molto è stato detto. E molto non è stato detto.
E si continuerà a non dire….fino a
quando della vicenda, basata sul nulla (e della quale fa menzione La Repubblica
del 6/6 us.) non avrà alcun senso parlarne perché sarà troppo tardi (per ricavarne
un qualche positivo o negativo risultato).
C’è, forse, dell’altro. Tintoretto sembra fortemente
coinvolto nella vicenda. Che illustra a tinte forti. Drammatiche. Come non
dovesse rappresentare solo l’episodio evangelico e religioso dell’ultima cena e
del tradimento di Giuda. Ma qualcos’altro. E non un’episodio ormai assopito
(nell’animo dei più) dalla notte dei tempi. In effetti le tinte dell’ultima
cena del Tintoretto
sono tinte troppo forti per poter essere considerate solo occasionali. Sono
dissimili da quelle delle “ ultime cene”
di altri autori (cfr. qui al latere“l’ultima
cena” di Leonardo).
Intrise queste ultime da una ben diversa compostezza. Dei commensali e della
stessa scena. Come se tutto, con la futura crocifissione del Dio uomo, dovrebbe
considerarsi ormai risolto. Ma per il Tintoretto sembra non essere proprio così. Il cui
dipinto potrebbe custodire un segreto
brutto che l’autore non ha voluto più chiaramente esplicitare perché
trattavasi solo di una sua personale intuizione.(Non suffragata da nullae che dovrebbe riguardare la condizione umana
dei suoi e di tutti i tempi. E dovrebbe altresì coinvolgere l’intera umanità.
Potrebbe anche essere immanente ad essa, poiché le crocifissioni, in diversi
modi ed in diverse occasioni, purtroppo continuano…). Non solo “ultima cena” dunque. Ma (forse) anche qualcos’altro.
Abbracci e baci. Da amici e conoscenti. Per la brava
bloggerista (così si definisce) Yoani Sanchez. Al Suo ritorno a Cuba (cfr.
la prima pagina de La Stampa del 3/6 u.s.). Dogana senza problemi (a
quanto essa dice). Un piatto di uova fritte “molto saporite” la attende all’arrivo. Ha nostalgia di internet. Ma
deve abituarsi “ ancora una volta ad
inviare tweets tramite SMS”. Sembra che “a Cuba arriverà la televisione digitale nel 2021”. (Il progresso
avanza) Effettivamente accade che a volte “dopo
la tormenta…torni ancora la tormenta”. E questo è tutto. (Forse non c’era
nient’altro da dire).
Presumibilmente a qualcuno non deve essere piaciuta l’onestà
intellettuale di Primo Levi. Il suo rifiutare di essere partecipe a qualsivoglia
strumentalizzazione (come si evince da qualcuna delle Sue interviste). E così, senza aver fatto
nulla di male (così inizia il “Processo”
di Kafka)
un giorno ebbe
ad accorgersi di essere processato. E cioè si iniziò a fare una
rilettura della Sua stessa vita. Scoprendosi (pur non esistendo alcuna prova o
testimonianza al riguardo) che avrebbe eseguito (o fatto eseguire) la condanna
a morte di due partigiani, accusati di furto. Si è aperto così un dibattito tra
eminenti Esponenti della cultura. Ovviamente tutto ciò avrà termine non certo
con un’assoluzione. (Guai a chi non si adegua !).